
La diffusione del virus ha purtroppo, oltre che generare gravi problematiche economiche, aggravando quelle già esistenti, colpendo soprattutto il mercato produttivo dell’agroalimentare in un momento di massima produzione; il primo semestre del 2020 ha infatti fatto registrare, da dati Ismea, un incremento del 3,5 % dell’export rispetto allo stesso semestre dell’anno precedente, registrando un calo dell’1,5 % proprio nel mese di Aprile, periodo di massima incombenza della pandemia.
Il paradosso dell’aggravarsi di una crisi alimentare in un periodo molto fiorente per la produzione, deriva dalle interruzioni parziali e/o totali che i mercati satellite a quelli della produzione hanno subito.
Questo è il preoccupante scenario illustrato al Wall Street Journal dall’economista FAO Abdolreza Abbassian che ha fornito uno spaccato, adattabile a livello globale, della situazione produttiva agroalimentare dei paesi in via di sviluppo.
Dalle sue parole si evince come la distorsione creata dal virus nel rapporto tra domanda e offerta abbia portato all’aumento in molti paesi, dei prezzi dei beni di prima necessità, aumentati ulteriormente a causa della corsa agli acquisti; lo spostamento dei prodotti dai luoghi di produzione a quelli di vendita seppur non interrotto ha subito notevoli rallentamenti mettendo in ginocchio i paesi più poveri del pianeta e peggiorando la situazione di quelli meno a rischio.
I prezzi degli alimenti hanno subito notevoli variazioni a seconda del paese e dell’autosufficienza agricola o meno di essi, e fonti FAO accertano innalzamenti >25% nei paesi più a rischio; anche in Italia però, seppur con aumenti limitati, la crisi nata di riflesso a quella del Coronavirus continua a farsi sentire.
I licenziamenti e le problematiche economiche delle famiglie hanno portato ad un innalzamento del tasso di povertà assoluta dal 31% al 45%, costringendo quasi una persona ogni due ad avvalersi degli aiuti alimentari di enti e associazioni.
Forse non è solo un problema di prezzi ma dello scenario che ci siamo costruiti.
In questo contesto tanto delicato come possono contribuire le nostre città al fine di aiutare i loro abitanti? Con che soluzioni?
La tecnologia, le competenze e il coraggio possono guidare l’Italia e l’Europa in questa transizione: un’agricoltura moderna capace di non subire inerme uno scenario del genere, ma in grado di svolgere un ruolo importante nelle nostre città utilizzando e massimizzando le superfici esterne ed interne ai nostri edifici ai fini produttivi, potrebbe aiutare a garantire il fabbisogno di verdura per ogni individuo, a titolo del tutto gratuito, contribuendo a ridurre i tassi di fame, quelli dello spreco e gli affollamenti dei supermercati in un momento assai delicato dal punto di vista degli assembramenti.
Un cambio di visione dell’edilizia potrebbe generare un valore aggiunto negli edifici delle nostre città e creare produzione senza utilizzo di suolo, altra problematica che affligge il nostro pianeta con una perdita di ben 2 m² al secondo.
Agritettura, progetta concept di urban farm, ridisegnando città che possano non solo nutrirci ma anche proteggerci, dotandole di elementi di protezione in grado di filtrare e depurare l’aria che giornalmente respiriamo avvalendosi di alghe e muffe purificatrici in grado di annientare le capacità di diffusione di molti microbi e batteri, rendendoci più sicuri a dimostrazione del fatto che la sicurezza degli individui dipende dai luoghi che abitano: #Agritettura